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martedì 19 agosto 2025

ANGOLO SCIENTIFICO D'AUTUNNO: FOGLIE, COLORI E SCOPERTE.

L’autunno è la stagione perfetta per osservare, scoprire e manipolare la natura: i colori si accendono, le foglie cadono e i bambini possono toccare con mano i segni dei cambiamenti.

Per rendere queste scoperte ancora più coinvolgenti, ho allestito in sezione un angolo scientifico dedicato all’autunno.

Sui tavoli i bambini hanno trovato vassoi colmi di materiali naturali: foglie di diverse forme e colori, rami, cortecce, semi e frutti dell’autunno. Tutto da toccare, esplorare e annusare!


Alle pareti abbiamo realizzato cartelloni con le foglie, trasformati in strumenti di osservazione e classificazione: dal grande albero creato con le foglie raccolte, ai pannelli che permettono di riconoscere e confrontare le diverse forme (acuminate, dentate, lobate, aghiformi…).

Accanto ai cartelloni, abbiamo appeso anche delle schede scientifiche illustrate, utili per abbinare la foglia reale al suo disegno e imparare a riconoscerne i margini e le caratteristiche.

Per arricchire l’osservazione, erano a disposizione anche alcuni testi scientifici per bambini, da sfogliare e consultare insieme, così da confrontare le foglie reali con le immagini e i disegni dei libri.

Non solo scienza: abbiamo creato anche un pannello con diverse opere d’arte a tema autunno, che ha ispirato i bambini nella realizzazione dei loro lavori.

Ispirandoci a Munari, i bambini hanno potuto sperimentare anche con la costruzione di alberi tridimensionali: un tronco realizzato con cartoncino ondulato arrotolato e fermato da elastici, fissato su una base di creta, su cui inserire rametti e foglie.

Con i colori a cera, invece, hanno provato la tecnica del frottage, scoprendo i dettagli e le venature delle foglie in modo sorprendente e creativo.

I bambini hanno osservato con la lente di ingrandimento, hanno fatto confronti, incollato foglie sui cartelloni, provato a nominarle e classificarle. Un percorso che unisce esperienza diretta, arte e scienza, e che aiuta i più piccoli a sviluppare la curiosità e il rispetto per la natura.

Per loro non è solo “giocare con le foglie”: è diventare piccoli scienziati e artisti! 


venerdì 1 agosto 2025

LA PHILOSOPHY FOR CHILDREN: la mia esperienza con i bambini e i miei riadattamenti per "GIOCARE A PENSARE"

Il mio incontro con la Philosophy for Children (P4C)

Il mio incontro con la Philosophy for Children (P4C) è avvenuto in modo del tutto casuale, grazie a una conversazione con una collega che ha stuzzicato la mia voglia di saperne di più. Fortunatamente ho avuto l’opportunità di partecipare a dei corsi che mi hanno avvicinato a questo affascinante modo di lavorare con i bambini, incentrato sull’imparare ad ascoltare… e ad ascoltarsi.

La Philosophy for Children nasce negli anni ’70 negli Stati Uniti grazie a Matthew Lipman, che la propone inizialmente come percorso per imparare a pensare.
Filosofare con i bambini non significa trasmettere concetti astratti, ma aiutarli a sviluppare le proprie abilità cognitive per intravedere problemi nuovi, cercare soluzioni, dare significato alle esperienze e costruire concetti con consapevolezza.

È un allenamento al pensiero critico, creativo e valoriale: i bambini imparano ad ascoltare, a confrontarsi, a porre domande significative e a sostenere le proprie idee.

Come funziona una sessione di Philosophy for Children?

Ecco come strutturo una sessione di P4C, adattata ai bambini dell’infanzia e primaria:

1. Inviti speciali
Qualche giorno prima preparo degli inviti per la "stanza dei pensieri" e li consegno ai bambini, spiegando che parteciperà solo chi lo desidera. Gli altri potranno restare in sezione per svolgere altre attività.

2. Il cerchio del pensiero
Nel giorno stabilito, riunisco i bambini nell’angolo delle conversazioni. Spiego che "giocheremo a pensare", con poche semplici regole:

  • ci si ascolta;

  • si alza la mano per parlare.

Per incuriosirli, al centro del cerchio faccio trovare il disegno di un punto interrogativo: un simbolo per parlare di domande, di curiosità, di ciò che ci fa riflettere. Dopo la lettura di un racconto (come L’ospedale delle bambole per l’infanzia o Pixie per la primaria, ma anche di un albo illustrato), invito i bambini a dire quali domande sono nate dentro di loro.



3. L’agenda delle domande
Trascrivo su un grande foglio, visibile a tutti, le domande emerse, indicando accanto chi le ha poste. Se più bambini hanno fatto la stessa domanda, aggiungo i loro nomi.
Spesso i bambini amano soffermarsi su questa fase, osservando il proprio nome scritto accanto alla domanda: è un momento in cui si sentono valorizzati, ascoltati, parte attiva del gruppo. Anche i più timidi si lasciano coinvolgere, sentendosi accolti e non giudicati.

4. Il tema di discussione
Rileggiamo tutte le domande, cerchiamo somiglianze, parole comuni, concetti ricorrenti. Insieme scegliamo l’argomento che più ci incuriosisce, formulando una nuova domanda-guida che guiderà la discussione.

5. La comunità di ricerca
A questo punto inizia la parte più importante: il confronto. I bambini cercano di rispondere alla domanda posta, dialogano, si ascoltano, si confrontano, cercano significati condivisi. A volte si arriva a una definizione comune, altre volte emergono nuove domande da esplorare.

6. Il momento della riflessione
Questa fase conclusiva, in cui ognuno si interroga su come si è sentito, su quanto ha ascoltato o è stato ascoltato, è fondamentale per consolidare la consapevolezza di sé e del gruppo.

Tutte queste fasi richiedono tempo e si costruiscono nel corso di più incontri.
La fase delle domande, in particolare, è molto delicata: i bambini hanno bisogno di spazio e ascolto per dare forma ai loro pensieri. Anche il confronto e la riflessione maturano lentamente, ma quando ci si arriva, il cerchio si chiude davvero… e il pensiero cresce insieme alla relazione.

Come ho vissuto questo metodo con i miei bambini

Fare filosofia con i bambini significa rallentare, prendersi tempo, valorizzare il silenzio e l’ascolto. Significa accettare l’incertezza, imparare a restare nel dubbio, esercitarsi nel confronto.

Una volta a settimana ci sediamo in cerchio e iniziamo il nostro viaggio nel pensiero. Dopo la narrazione, i bambini pongono domande nate dentro di loro. Io le trascrivo, le rileggiamo, scegliamo insieme la più interessante. Una sveglia scandisce il tempo: quando suona, il nostro cerchio si scioglie. Anche se qualcuno avrebbe ancora voluto parlare.
E questo è parte del gioco: imparare ad attendere, a non avere tutto subito, a rimandare, sperimentando anche la frustrazione in modo sano.


Conclusione

Il ruolo dell’insegnante non è quello di guidare la conversazione o fornire risposte, ma di facilitare il pensiero, accogliere le domande, stimolare il confronto e creare le condizioni perché i bambini si sentano liberi di esprimere ciò che pensano.

La Philosophy for Children è diventata per me un modo per educare alla cittadinanza, alla relazione, alla riflessione. Un modo per crescere… insieme.


 Ma lasciamo la parola ai protagonisti e ad alcuni dei loro pensieri!

 Sull’avere pazienza:

La pazienza vuol dire aspettare un po’ però bisogna avere un po’ di pazienza per nascere. (Maicol)

Per la pazienza ci vuole silenzio. (Maria, Lorenzo)

Vuol dire avere silenzio, concentrazione e usare la testa. (Noemi, Rita)

E’ stare tutte le volte a avere pazienza. Con la pazienza si aspetta. (Filippo, Marco)

Aspettare un pochettino e dopo il bozzolo si schiude e la farfalla nasce. (Pietro)

Quando una mamma sta telefonando a una sua amica si sta’ in silenzio. (Marco)

Dobbiamo aspettare tanto per avere pazienza. (Federica, Emma, Viola)

Io ho avuto pazienza quando aspettavo il mio papà da lavoro. (Luca, Paolo)

Ho avuto pazienza quando arrivava il babbo che mi comperava le figurine dei cucciolotti che ne avevo poche. (Nicola, Stefano)

Avevo tanta pazienza perché mia mamma non smetteva di parlare con una signora e mi era anche passata la pazienza. Le stavo per dare un pugno. (Rodolfo)

Sul significato del vivere:

Significa giocare con gli amici e volersi bene, tipo Pietro è mio amico. (Rodolfo)

Vuole dire fare sempre le cose che ho sognato di fare da quando sono nato. (Pietro)

Per me è una cosa che si può sognare da quando è nato un bambino. E poi stare con gli amici quando si è più grandi. Quando ero nella pancia della mia mamma non si poteva giocare. (Chiara)

Significa respirare. (Filippo)

Sulla parola forte:

Avere i muscoli che crescono con tanta pappa e poi diventano grandissimi come papà. (Caterina)

Vuol dire urlare fortissimo. (Mattia)

Essere forti perché noi di più cresciamo e di più facciamo confusione a giocare. (Chiara)

Si diventa forti a mangiare gli spinaci. (Camilla)

Uno che fa ridere è forte. (Marco)

Un tavolo quando lo sbatti è forte, ti rompe i timpani dalle orecchie. (Salvatore)

Sul matrimonio:

E’ quello dove si sposano, si baciano, si danno l’anello. La mia nonna le ha messo l’anello il nonno Luigi e dopo è morto perché era vecchio, la nonna no. (Marco)

Due che si sposano poi con i fiori, uno il telo in testa, uno c’ha la tuta con il fiocchetto e da’ i fiori alla sposa. (Luca A)

Andare in chiesa. (Eric)

Dopo che il babbo e la mamma si sono sposati hanno un figlio appena nato e dopo che è passato tanto tempo va a scuolina. (Emma)

Che una persona quando è diventata un po’ grandissima deve cercare una moglie per essere marito e avere tanti figli così è felice con i suoi bambini. (Rodolfo)

Significa che qualcuno è innamorato di un’altra persona. (Hilary)

Si devono impegnare a badare i figli, a dargli da mangiare e poi piano piano diventano grandi e poi vanno alla scuola dei grandi con lo zaino e le mamme lo vanno a prendere. (Caterina)

Vuol dire che si è innamorati. (Luca)

Vuol dire volersi bene, badare i figli, a volte sgridare i figli. (Chiara)

Il matrimonio finisce quando tutti se ne sono andati e vanno a casa. (Pietro)

Dopo il matrimonio si possono lasciare perché litigano e sono arrabbiati fra di loro. (Pietro)

Anche se si lasciano si vogliono lo stesso bene sennò che marito e moglie sarebbero. (Chiara)

Sull’arrossire:

Quando qualcuno si vergogna diventa rosso. (Hilary)

Quando uno si arrabbia molto forte la faccia diventa rossa se non smette. (Luca)

Quando qualcuno mi fa arrabbiare divento rossa. (Marlene, Maria)

Diventa rosso quando uno si abbraccia forte forte, quando ti senti un po’ come dire… (Rodolfo)

Quando le persone mi guardano mi sento timido. (Mattia)

Divento rosso quando la mia mamma e il mio babbo mi fanno arrabbiare. (Maicol)

Quando qualcuno si vergogna diventa rosso. (Luca P)

Quando mi brucia la pelle. (Filippo)

Quando mi fanno la doccia e io mi arrabbio molto che urlo e la mia faccia è tutta rossa come il fuoco, più rossa. (Luca A)

Quando uno piange diventa rosso. (Lucia)

Quando mi vergogno per un uomo che non conosco. (Caterina)

Io divento rosso quando c’è il sole. (Nicola)

Io divento rosso quando c’è caldo. (Kosmine)

Sulla casa:

La casa è dove si mangia, si dorme, si guarda la televisione e si gioca. (Caterina)

E’ dove si può giocare, si può mangiare, dove c’è la cucina, i giochi, fuori c’è il sole e il giardino. (Noemi)

Ci sono i muri, si cucina, si lava, ci sono i quadri. (Marlene)

Ci si protegge dalla pioggia, ci abitano delle persone, la mia famiglia. (Camilla)

E’ fatta di cemento e mattoni, ci si protegge dalla pioggia e dal sole che scotta, (Filippo)

Non si vive senza casa sennò si è per strada. (Pietro)

Si può vivere in una macchina se sei senza casa. (Chiara)

Si può vivere nel camper, la macchina si va a fare un giro, guarda, il camper si mangia, ci sono i letti, si dorme. (Luca)

Sul cosa c’è dentro di te:

Un tesoro di nome Gesù. (Marco, Caterina, Chiara)

Uno scrigno d’oro. (Nicola)

Gesù con tanti cuori. (Noemi)

Un cuore. (Mattia)

Sull’insegnare qualcosa a qualcuno:

Per avere degli amici gli insegno una cosa bella e diventiamo amici. (Emma)

Perché è buona e allora insegna quello che sa fare. (Filippo)

Perché da solo si annoia, ma l’unica cosa bella dell’amicizia è mostrare i propri segreti. (Rodolfo)

Sul perdono:

Il perdono è una cosa bella. (Caterina)

Dopo si può giocare. (Emma)

Perdonare è difficile, non è uno scherzo. (Rodolfo)

Chi perdona ha il cuore con Gesù e San Francesco. (Noemi, Emma)

giovedì 31 luglio 2025

Un autunno tra cura, amicizia e fantasia: la storia di nonno Gugù

Per introdurre l’autunno ai bambini in modo affettivo e coinvolgente, ho scelto di partire da una storia inventata, che potesse parlare loro di cura, amicizia e accoglienza.

È così che è nato Gugù, un albero un po’ buffo e molto affettuoso, che non perde le foglie… ma le regala a chi ama! Con lui vive una simpatica famiglia di gufi, alle prese con i preparativi per l’arrivo del freddo.

Dopo aver ascoltato la storia, abbiamo realizzato insieme il cartellone dell’albero Gugù, utilizzando materiali di recupero:

  • le foglie sono state create tagliando a strisce (circa 1,5 cm) i rotoli interni di carta igienica, modellati a forma di mandorla

  • all’interno di ogni foglia, i bambini hanno incollato palline di carta velina e crespa nei colori caldi dell’autunno: arancio, rosso, giallo, marrone...

Il risultato è stato un albero coloratissimo, tridimensionale e pieno di energia, proprio come Gugù!



Ecco la storia che ho creato e che ha ispirato tutto:

Nel cuore di un bosco tranquillo, proprio accanto a un sentiero pieno di foglie scricchiolanti, viveva un albero un po’ speciale.
Si chiamava Gugù. Era un albero alto e robusto, con la corteccia a righe, un ramo che faceva le curve strane e… un grande sorriso fatto di muschio!

Gugù non era un albero qualunque: parlava, cantava e, soprattutto… faceva da casa a una famiglia di gufi un po’ svampiti.

C’erano:

  • il papà gufo Gustavo, sempre con gli occhiali storti

  • la mamma gufa Gisella, che cuciva sciarpine con le piume cadute

  • i piccoli Guido, Ginevra e Ginetto, tre gufetti che non stavano mai fermi!

Un giorno d’autunno, mentre le foglie cominciavano a volare leggere, Gugù sentì un solletico nei rami.
Era Ginetto che gridava:
— Gugù, Gugù! Sta arrivando il vento freddo! E se ci vola via il nido?

Gugù scrollò le foglie e disse con voce profonda:
— Tranquilli, gufetti! L’autunno è il mio periodo preferito… Io non perdo le foglie, le regalo! Le metto sotto i vostri nidi per tenerli caldi!

E così fece: fece cadere foglie grandi come coperte, e i gufetti ci si tuffarono dentro facendo "frrr! frrr!".

Poi Gugù si chinò un po’ di lato (per quanto possa chinarsi un albero!) e disse:
— Mamma Gisella, vuoi che ti presti un po’ di corteccia morbida per rinforzare il tetto?

— Oh sì, grazie Gugù! Sei un albero con un cuore di legno buono!

Intanto papà Gustavo cercava di leggere il giornale del bosco, ma il vento glielo soffiava via.
— Gugù, potresti tenermi un ramo sopra la testa?

E Gugù, con pazienza da albero centenario, abbassò un ramo proprio come un ombrello.

Così, giorno dopo giorno, Gugù aiutava i gufi a prepararsi per l’autunno:

  • spazzava via le foglie bagnate con le sue radici

  • faceva dondolare i nidi per addormentare i piccoli

  • raccontava storie ai gufetti ogni sera (sì, anche gli alberi raccontano fiabe!)

Una sera, quando tutto era pronto e nel bosco c’era profumo di castagne e muschio, Ginevra sussurrò:
— Gugù… ma tu non hai freddo?

E Gugù sorrise:
— Io no. Quando sento le vostre risate nei miei rami, mi scaldo tutto!

Da quel giorno, i gufetti iniziarono a chiamarlo “nonno Gugù”, l’albero che non perdeva foglie, ma le usava per coccolare chi amava.

E ancora oggi, se vai in quel bosco e senti ridere tra i rami, forse stai passando proprio accanto a Gugù… che racconta storie e fa il solletico ai gufetti!

 Altre attività suggerite:

  • Disegna Gugù e i gufetti tra le foglie d’autunno

  • Ritaglia foglie vere o di carta e crea un collage del bosco

  • Costruisci un nido morbido per i gufetti usando materiali naturali

  • Racconta: Chi vorresti ospitare nel tuo albero?