Il mio incontro con la Philosophy for Children (P4C)
Il mio incontro con la Philosophy for Children (P4C) è avvenuto in modo del tutto casuale, grazie a una conversazione con una collega che ha stuzzicato la mia voglia di saperne di più. Fortunatamente ho avuto l’opportunità di partecipare a dei corsi che mi hanno avvicinato a questo affascinante modo di lavorare con i bambini, incentrato sull’imparare ad ascoltare… e ad ascoltarsi.
La Philosophy for Children nasce negli anni ’70 negli Stati Uniti grazie a Matthew Lipman, che la propone inizialmente come percorso per imparare a pensare.
Filosofare con i bambini non significa trasmettere concetti astratti, ma aiutarli a sviluppare le proprie abilità cognitive per intravedere problemi nuovi, cercare soluzioni, dare significato alle esperienze e costruire concetti con consapevolezza.
È un allenamento al pensiero critico, creativo e valoriale: i bambini imparano ad ascoltare, a confrontarsi, a porre domande significative e a sostenere le proprie idee.
Come funziona una sessione di Philosophy for Children?
Ecco come strutturo una sessione di P4C, adattata ai bambini dell’infanzia e primaria:
1. Inviti speciali
Qualche giorno prima preparo degli inviti per la "stanza dei pensieri" e li consegno ai bambini, spiegando che parteciperà solo chi lo desidera. Gli altri potranno restare in sezione per svolgere altre attività.
2. Il cerchio del pensiero
Nel giorno stabilito, riunisco i bambini nell’angolo delle conversazioni. Spiego che "giocheremo a pensare", con poche semplici regole:
-
ci si ascolta;
-
si alza la mano per parlare.
Per incuriosirli, al centro del cerchio faccio trovare il disegno di un punto interrogativo: un simbolo per parlare di domande, di curiosità, di ciò che ci fa riflettere. Dopo la lettura di un racconto (come L’ospedale delle bambole per l’infanzia o Pixie per la primaria, ma anche di un albo illustrato), invito i bambini a dire quali domande sono nate dentro di loro.
3. L’agenda delle domande
Trascrivo su un grande foglio, visibile a tutti, le domande emerse, indicando accanto chi le ha poste. Se più bambini hanno fatto la stessa domanda, aggiungo i loro nomi.
Spesso i bambini amano soffermarsi su questa fase, osservando il proprio nome scritto accanto alla domanda: è un momento in cui si sentono valorizzati, ascoltati, parte attiva del gruppo. Anche i più timidi si lasciano coinvolgere, sentendosi accolti e non giudicati.
4. Il tema di discussione
Rileggiamo tutte le domande, cerchiamo somiglianze, parole comuni, concetti ricorrenti. Insieme scegliamo l’argomento che più ci incuriosisce, formulando una nuova domanda-guida che guiderà la discussione.
5. La comunità di ricerca
A questo punto inizia la parte più importante: il confronto. I bambini cercano di rispondere alla domanda posta, dialogano, si ascoltano, si confrontano, cercano significati condivisi. A volte si arriva a una definizione comune, altre volte emergono nuove domande da esplorare.
6. Il momento della riflessione
Questa fase conclusiva, in cui ognuno si interroga su come si è sentito, su quanto ha ascoltato o è stato ascoltato, è fondamentale per consolidare la consapevolezza di sé e del gruppo.
Tutte queste fasi richiedono tempo e si costruiscono nel corso di più incontri.
La fase delle domande, in particolare, è molto delicata: i bambini hanno bisogno di spazio e ascolto per dare forma ai loro pensieri. Anche il confronto e la riflessione maturano lentamente, ma quando ci si arriva, il cerchio si chiude davvero… e il pensiero cresce insieme alla relazione.
Come ho vissuto questo metodo con i miei bambini
Fare filosofia con i bambini significa rallentare, prendersi tempo, valorizzare il silenzio e l’ascolto. Significa accettare l’incertezza, imparare a restare nel dubbio, esercitarsi nel confronto.
Una volta a settimana ci sediamo in cerchio e iniziamo il nostro viaggio nel pensiero. Dopo la narrazione, i bambini pongono domande nate dentro di loro. Io le trascrivo, le rileggiamo, scegliamo insieme la più interessante. Una sveglia scandisce il tempo: quando suona, il nostro cerchio si scioglie. Anche se qualcuno avrebbe ancora voluto parlare.
E questo è parte del gioco: imparare ad attendere, a non avere tutto subito, a rimandare, sperimentando anche la frustrazione in modo sano.
Conclusione
Il ruolo dell’insegnante non è quello di guidare la conversazione o fornire risposte, ma di facilitare il pensiero, accogliere le domande, stimolare il confronto e creare le condizioni perché i bambini si sentano liberi di esprimere ciò che pensano.
La Philosophy for Children è diventata per me un modo per educare alla cittadinanza, alla relazione, alla riflessione. Un modo per crescere… insieme.
Ma lasciamo la parola ai protagonisti e ad alcuni dei loro pensieri!
Sull’avere pazienza:
La pazienza vuol dire aspettare un po’ però bisogna avere
un po’ di pazienza per nascere. (Maicol)
Per la pazienza ci vuole silenzio. (Maria, Lorenzo)
Vuol dire avere silenzio, concentrazione e usare la
testa. (Noemi, Rita)
E’ stare tutte le volte a avere pazienza. Con la pazienza
si aspetta. (Filippo, Marco)
Aspettare un pochettino e dopo il bozzolo si schiude e la
farfalla nasce. (Pietro)
Quando una mamma sta telefonando a una sua amica si sta’
in silenzio. (Marco)
Dobbiamo aspettare tanto per avere pazienza. (Federica, Emma, Viola)
Io ho avuto pazienza quando aspettavo il mio papà da
lavoro. (Luca, Paolo)
Ho avuto pazienza quando arrivava il babbo che mi
comperava le figurine dei cucciolotti che ne avevo poche. (Nicola, Stefano)
Avevo tanta pazienza perché mia mamma non smetteva di
parlare con una signora e mi era anche passata la pazienza. Le stavo per dare
un pugno. (Rodolfo)
Sul significato del vivere:
Significa giocare con gli amici e volersi bene, tipo
Pietro è mio amico. (Rodolfo)
Vuole dire fare sempre le cose che ho sognato di fare da
quando sono nato. (Pietro)
Per me è una cosa che si può sognare da quando è nato un
bambino. E poi stare con gli amici quando si è più grandi. Quando ero nella
pancia della mia mamma non si poteva giocare. (Chiara)
Significa respirare.
(Filippo)
Sulla parola forte:
Avere i muscoli che crescono con tanta pappa e poi
diventano grandissimi come papà. (Caterina)
Vuol dire urlare fortissimo. (Mattia)
Essere forti perché noi di più cresciamo e di più
facciamo confusione a giocare. (Chiara)
Si diventa forti a mangiare gli spinaci. (Camilla)
Uno che fa ridere è forte. (Marco)
Un tavolo quando lo sbatti è forte, ti rompe i timpani
dalle orecchie. (Salvatore)
Sul matrimonio:
E’ quello dove si sposano, si baciano, si danno l’anello.
La mia nonna le ha messo l’anello il nonno Luigi e dopo è morto perché era vecchio,
la nonna no. (Marco)
Due che si sposano poi con i fiori, uno il telo in testa,
uno c’ha la tuta con il fiocchetto e da’ i fiori alla sposa. (Luca A)
Andare in chiesa.
(Eric)
Dopo che il babbo e la mamma si sono sposati hanno un
figlio appena nato e dopo che è passato tanto tempo va a scuolina. (Emma)
Che una persona quando è diventata un po’ grandissima
deve cercare una moglie per essere marito e avere tanti figli così è felice con
i suoi bambini. (Rodolfo)
Significa che qualcuno è innamorato di un’altra persona. (Hilary)
Si devono impegnare a badare i figli, a dargli da
mangiare e poi piano piano diventano grandi e poi vanno alla scuola dei grandi
con lo zaino e le mamme lo vanno a prendere. (Caterina)
Vuol dire che si è innamorati. (Luca)
Vuol dire volersi bene, badare i figli, a volte sgridare
i figli. (Chiara)
Il matrimonio finisce quando tutti se ne sono andati e
vanno a casa. (Pietro)
Dopo il matrimonio si possono lasciare perché litigano e
sono arrabbiati fra di loro. (Pietro)
Anche se si lasciano si vogliono lo stesso bene sennò che
marito e moglie sarebbero. (Chiara)
Sull’arrossire:
Quando qualcuno si vergogna diventa rosso. (Hilary)
Quando uno si arrabbia molto forte la faccia diventa
rossa se non smette. (Luca)
Quando qualcuno mi fa arrabbiare divento rossa. (Marlene, Maria)
Diventa rosso quando uno si abbraccia forte forte, quando
ti senti un po’ come dire… (Rodolfo)
Quando le persone mi guardano mi sento timido. (Mattia)
Divento rosso quando la mia mamma e il mio babbo mi fanno
arrabbiare. (Maicol)
Quando qualcuno si vergogna diventa rosso. (Luca P)
Quando mi brucia la pelle. (Filippo)
Quando mi fanno la doccia e io mi arrabbio molto che urlo
e la mia faccia è tutta rossa come il fuoco, più rossa. (Luca A)
Quando uno piange diventa rosso. (Lucia)
Quando mi vergogno per un uomo che non conosco. (Caterina)
Io divento rosso
quando c’è il sole. (Nicola)
Io divento rosso
quando c’è caldo. (Kosmine)
Sulla casa:
La casa è dove si
mangia, si dorme, si guarda la televisione e si gioca. (Caterina)
E’ dove si può
giocare, si può mangiare, dove c’è la cucina, i giochi, fuori c’è il sole e il
giardino. (Noemi)
Ci sono i muri, si
cucina, si lava, ci sono i quadri. (Marlene)
Ci si protegge dalla
pioggia, ci abitano delle persone, la mia famiglia. (Camilla)
E’ fatta di cemento e
mattoni, ci si protegge dalla pioggia e dal sole che scotta, (Filippo)
Non si vive senza casa
sennò si è per strada. (Pietro)
Si può vivere in una
macchina se sei senza casa. (Chiara)
Si può vivere nel
camper, la macchina si va a fare un giro, guarda, il camper si mangia, ci sono
i letti, si dorme. (Luca)
Sul cosa c’è dentro
di te:
Un tesoro di nome
Gesù. (Marco, Caterina, Chiara)
Uno scrigno d’oro.
(Nicola)
Gesù con tanti cuori.
(Noemi)
Un cuore. (Mattia)
Sull’insegnare
qualcosa a qualcuno:
Per avere degli amici
gli insegno una cosa bella e diventiamo amici. (Emma)
Perché è buona e
allora insegna quello che sa fare. (Filippo)
Perché da solo si
annoia, ma l’unica cosa bella dell’amicizia è mostrare i propri segreti. (Rodolfo)
Sul perdono:
Il perdono è una cosa
bella. (Caterina)
Dopo si può giocare. (Emma)
Perdonare è difficile,
non è uno scherzo. (Rodolfo)
Chi perdona ha il cuore con Gesù e San Francesco. (Noemi, Emma)